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Channel: La Città Invisibile » Pierluigi Bersani

Bersani insiste sul "linguaggio fascista": ecco perché sbaglia.

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Le parole dovrebbero servire a definire, delimitare, spiegare. Non ad alterare, nascondere, mistificare.

È vero: la storia dell'uomo ha mostrato di discostarsi fin troppo spesso da quest'ideale. Parole su parole che intessono trame al fine di persuadere, dissimulare, ingannare, estorcere, tradire, sopraffare. È stato sempre così, da che mondo è mondo; lo è tutt'oggi e probabilmente sempre lo sarà.

A maggior ragione pertanto, anche per via di questa nostra naturale inclinazione alla mistificazione, il modo con cui usiamo le parole va attentamente pesato.

Personalmente, a mano a mano che passano gli anni, sento sempre più vera una delle tante lezioni (americane, nel caso particolare) di Italo Calvino. Questa, per la precisione:

«La parola collega la traccia visibile alla cosa invisibile, alla cosa assente, alla cosa desiderata o temuta, come un fragile ponte di fortuna gettato sul vuoto. Per questo il giusto uso del linguaggio per me è quello che permette di avvicinarsi alle cose (presenti o assenti) con discrezione e attenzione e cautela, col rispetto di ciò che le cose (presenti o assenti) comunicano senza parole.»

Il giusto del linguaggio, dunque, sta nell'avvicinarsi alle cose col rispetto di ciò che le cose comunicano senza parole, scriveva Calvino nella sua lezione sull'"esattezza" (guardacaso).

Forse penserete: che meravigliosa e frustrante utopia immaginare, anzi no, 'pretendere' che il mondo frenetico di oggi si fermi a ponderare sul senso - non semplicemente sul significato - delle parole che si usano! E ne ricerchi magari l'esattezza, la genuina corrispondenza con la realtà delle cose che le parole usate tentano di descrivere.

Chissà. Magari è questo stesso anelito che ha spinto Pierluigi Bersani a rilanciare ieri, a proposito della nota polemica con Grillo scoppiata nel fine settimana (su cui ho già scritto), il seguente concetto:

«Ho detto, e intendo ripetere, una cosa semplice e precisa. Frasi del tipo: "siete dei cadaveri ambulanti, vi seppelliremo vivi" e così via, sono le frasi di un linguaggio fascista, così come lo abbiamo conosciuto in Italia. È vero o no? Ci si rifletta un attimo e si risponda a questo senza divagare, senza deformare quel che ho detto, senza insultare».

Non pare quasi di sentire l'eco di Calvino, nell'accorato appello di Bersani a ponderare sulla sua riflessione semantico-storicistica, sulla natura del linguaggio dei grillini (e dei dipietristi), sulle conseguenze che possono derivare dall'abuso delle parole?

Forse. Chissà.

Fatto sta che Bersani tradisce per primo, e gravemente, l'esattezza del linguaggio.

Se è vero infatti che non ha dato del fascista alle persone che hanno usato e continuano ad usare un certo tipo di espressioni e di terminologia, ha però attribuito un connotato ed una categoria inequivocabili a quelle fattispecie di linguaggio.

Trascurando del tutto che dietro quelle parole e quella terminologia ci sono delle persone che non sono soltanto i Grillo o i Di Pietro. E non capendo che, a meno di voler ridurre il mondo in buoni e cattivi - inveterato ed atavico male di una certa sinistra - quel linguaggio non può né deve essere paragonato ad un totalitarismo che ha portato alla privazione della libertà un intero popolo.

Questo semplicemente perché il contesto storico attuale ci parla di qualcosa di completamente differente. Non contestualizzare e risvegliare con le parole fantasmi di un passato doloroso è forse pericoloso, sicuramente sbagliato. Perché definendo quel linguaggio come fascista si spazza via la possibilità di ragionare sulle cause, spostando il fuoco comunicativo sulla pancia anziché sui contenuti (la medesima cosa che il PD rimprovera a Grillo, guarda un po'). Questo sì che, oltre ad essere inesatto, può diventare pericoloso.

Eppure non sembra così difficile da capire. Molte delle persone che usano quei toni e quel tipo di linguaggio sono persone deluse perché non vedono rappresentati i loro ideali (uno su tutti: l'ambientalismo); stufe di qualsiasi privilegio puzzi anche solo apparentemente di bieco "castismo"; nauseate dal sistema stantio di lobbismo e corruzione che li taglia fuori non tanto dalla vita politica - quello è un riflesso secondario - ma dalla vita civile del paese in cui vivono.

Quelle persone insomma, caro Bersani, quando minacciano di "seppellire vivi i politici" lo fanno perché in qualche modo sentono lesa la propria libertà. Si sentono schiavi di una società chiusa, con un presente cieco e senza prospettive che li inchioda ad un futuro avvertito come inesistente.

Del resto, abbia pazienza: non sono queste le nostre stesse paure?

È su questo, caro segretario, che mi fermerei a riflettere, se fossi in lei. Per provare a guardare la luna anziché il dito.

Per provare a capire perché il primo partito italiano, quello che ha la "democrazia" nel nome, non riesce a comprendere che le ragioni di un dissenso così marcato e intransigente possono anche arrivare ad esprimersi con toni eccessivi. Da deprecare, senza dubbio. Facendosi però contestualmente carico delle istanze che si celano dietro quei toni e quei linguaggi.

Su questo rifletterei, segretario, se fossi in lei.

Per domandarsi se il suo accorato appello sul pericolo che certi toni rappresentano per la nostra democrazia non venga necessariamente dopo quello di chi è convinto che la nostra democrazia sia già morta da tempo.


La dignità di parola tra "struzzismo" e "revanscismo".

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Devo dire che quello che più mi amareggia nel leggere alcuni commenti e opinioni alle decine di articoli e/o post relativi alla polemica Bersani-Grillo sui linguaggi fascisti - polemica di cui ho già ampiamente dato conto (qui e qui) - è la constatazione che nella stragrande maggioranza dei casi siamo oramai precipitati in quella che si potrebbe definire la logica del pensiero binario, o se preferite dicotomico, manicheo. La logica insomma del "o bianco o nero".

Se si osa riflettere sulle forme deteriori del grillismo (e ce ne sono eccome, putroppo), si viene accusati o di essere sul libro paga di qualche padrone, certamente colluso con qualche bieca lobby italica afferente all'area pidiellino-leghista-fascistoide-apostolica, o invece di appartenere a quella schiera di servi sciocchi, prezzolati dalla premiata loggia massonica De Benedetti, responsabile - a leggere le parole dei più accaniti detrattori - di tutti i mali nazionali, più di qualcuno internazionale a scelta.

Se d'altro canto si inciampa nel reato di lesa maestà per aver argomentato delle critiche all'indirizzo del Partito Democratico o del suo Segretario Bersani, si viene etichettati come sfascisti, si viene ripudiati e disconosciuti, oltreché annoverati nella schiera di quanti, naturalmente, fanno il gioco di Grillo & Co. soltanto perché pongono questioni problematiche o sollevano dubbi sull'operato del PD.

Il risultato? Rumore. Tanto rumore. Troppo rumore. E tanti saluti al merito delle argomentazioni, alla natura del ragionamento e alla costruzione di una dialettica salutare e proficua, che invece dovrebbe essere il primo obiettivo di ogni partito realmente democratico.Nulla da fare: la logica del "o con me o contro di me" dilaga ormai senza più confini, da destra a sinistra, esasperando toni e linguaggi, sempre più consoni ad intenzioni belliche che non ad un reale confronto sui valori e sul merito delle cose.

Fai notare ai grillini, che so, che parlare di tribunali popolari è decisamente lontano da una sana concezione democratica? Sei un buonista, uno che non ha le palle, uno che caldeggia il "castismo"; anzi fai parte tu stesso della casta, indirettamente, perché critichi chi la combatte. Dunque, non hai dignità di parola.

Fai notare al PD che, oltre a denunciare il pericolo democratico rappresentato dai linguaggi esasperati dei grillini, bisognerebbe dire chiaramente e concretamente, senza indugi e mezzi termini, qual è l'idea riformista di paese che si vuole portare avanti, come si esce dal pantano economico dopo l'appoggio al conservatore Monti, quali sono le direzioni che si vogliono prendere sui grandi temi tipo le coppie di fatto, l'eutanasia, la situazione delle carceri, il welfare, l'istruzione (e questo possibilmente prima di pensare alle alleanze cambiandole tre volte nel giro di un mese)? Ebbene sei un favolista, un illuso che disconosce la ragioni della Realpolitik. Non capisci che un grande partito, per intercettare il massimo del consenso, deve dare un colpo al cerchio e uno alla botte, e pazienza se finisce col non avere più una fisionomia definita e latitano le proposte concrete. E in ogni caso sei uno che sta facendo il gioco degli avversari, perché erodi dall'interno le certezze (?!) di un elettorato di sinistra già in difficoltà e sposti l'attenzione sui problemi anziché sull'evidente superiorità - indiscussa a prescindere dalle proposte! - della sinistra, unico baluardo che si erge a difesa dello sfascio del paese. Dunque, in ultima analisi, il risultato è sempre quello: non hai dignità di parola.

Abbiate pazienza: ma davvero il destino delle principali forze in campo che si contrappongono alla precedente coalizione di governo è oramai questo? Siamo condannati all'antitesi tra struzzismo o revanscismo? La contrapposizione cioè tra chi insiste col voler squalificare dalla competizione un avversario già in gara - che diventa ogni giorno più forte - fingendo che stia avvenendo tutto in maniera casuale (struzzismo) e chi dall'altra parte lascia che la propria rabbia nei confronti di anni di malgoverno si manifesti sempre più veemente e assuma i contorni di una livorosa brama di vendetta politica nei confronti della casta (revanscismo)?

Sarà. Ma questa "semplificazione" continua a parermi illogica e parecchio pericolosa. E mi riferisco tanto ai politici che la appoggiano, quanto agli elettori che la interpretano.

Fare politica non è annullare le parti avverse (in qualsiasi modo lo si faccia), ma confrontarsi sui grandi temi che riguardano la società e il futuro della collettività, per dare modo ai cittadini di scegliere quale progetto votare.

A chi si scandalizza per i dubbi posti sulla vaghezza del programma del PD, chiedo: ok, voi che vi riconoscete senza incertezza nei valori espressi dal PD, quale progetto di Italia, concretamente, vi accingete a sostenere?

A chi si scandalizza per i dubbi espressi nei confronti di Beppe Grillo chiedo: siete certi che l'odio mostrato da molti voi nei commenti e nelle opinioni su blog e siti di informazione sia la medicina giusta per ricostruire efficacemente il paese? E come fate ad essere certi che uscire dall'Euro (come la Padania vorrebbe fare dall'Italia), adottare il modello dell'iperdemocrazia che fa decidere la community con un "click" e dei tribunali popolari che giudicano le malefatte dei politici siano la soluzione ai nostri mali atavici?

Io credo sia necessario che ciascuna parte in causa recuperi la lucidità necessaria per ragionare su cosa è meglio (e non soltanto su cosa è stato peggio finora) per il nostro paese, in modo analitico possibilmente.

Per quanto riguarda in particolare il PD, si è detto spesso che uno dei più grandi errori della sinistra fu quello di "demonizzare" l'avversario politico, Silvio Berlusconi.

Ho la sensazione che la storia si stia in qualche modo ripetendo. E che il famoso appello di Nanni Moretti sul "dire qualcosa di sinistra", a tutt'oggi, in fondo in fondo sia ancora inascoltato.

Ma si sa: dicendo questo, ora, ho nuovamente perso la dignità di parola.

Il problema è che di questo me ne farò una ragione. Del resto, purtroppo, proprio no.

Matteo Renzi, Don Chisciotte e il Bel Paese.

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Grande bagarre per le dichiarazioni di Nunzia De Girolamo (su Twitter e alla Zanzara di Radio 24) che dopo aver affermato: "sono più berlusconiana che di centrodestra", ha aggiunto "Se andrei con Renzi? Mi piace molto, quello che dice mi convince" e ancora "se Renzi uscisse dal Pd per fare un partito alternativo e non ci fosse più Berlusconi in campo, sarei con lui".

A parte le schermaglie interne al PdL, quello che mi pare maggiormente degno di nota è l'uscita allo scoperto di chi si professa "berlusconiano", che oggi dichiara serenamente di sentirsi rappresentato da Matteo Renzi.

La De Girolamo non è un caso unico. Su Twitter Andrea Di Sorte - berlusconiano doc, assessore del PdL a Bolsena, coordinatore dei Club della Libertà, uno dei promotori dell'iniziativa "Formattiamo il PdL" - ha plaudito alle dichiarazioni della collega, difendendola dagli attacchi di qualche facinoroso con queste parole: "Nunzia dice una cosa che pensano tutti. E nei bar (dove stanno i voti) la questione non è un mistero. Brava".

Del resto lo stesso Angelino Alfano, giovedì sera, dopo il discorso di Renzi a Verona, aveva dichiarato: "La mia impressione è che Renzi dice cose talmente simili alle nostre e talmente irrealizzabili nel suo campo, dove ci sono i nipotini del Pci, che se non vincerà le primarie del Pd finirà per votare per noi".

Credo che tutto ciò meriti una qualche riflessione.

Lo scorso luglio vi fu un botta e risposta "epistolare" tra Sandra Bonsanti e Matteo Renzi, in cui la Bonsanti chiedeva al sindaco di Firenze di chiarire una volta per tutte alcune ambiguità. Ecco uno dei passaggi chiave:

"Ho letto che venerdì scorso, quando ormai la notizia della ricandidatura di Berlusconi sembrava sicura, hai detto: «Se dovesse ricandidarsi non dobbiamo riproporre l’antiberlusconismo: io dico no alla logica del nemico». Dunque, se Berlusconi si ricandida, tu non saresti «anti». E nemmeno «nemico». Ma saresti almeno «contro »? Non è chiaro dalle tue parole. Neanche a me piace di chiamare «nemici» gli avversari politici. E infatti non penso che il Cavaliere sia un nemico mio personale. Ma certamente è a mio avviso nemico di molti di quei valori nei quali invece, non solo io ma molti italiani e moltissimi fiorentini, ci ostiniamo a credere."

Il succo della risposta di Renzi è racchiuso in queste sue parole: "Non sarò anti qualcosa o qualcuno".

Ed è proprio su questo punto che molte cose continuano a non tornare. Anziché criticare il modello politico-filosofico del Cavaliere (il partito azienda, il pensiero unico, il populismo demagogico, la deriva plebiscitaria), Renzi non solo sceglie di puntare al consenso dell'elettorato berlusconiano - parte del quale a quanto pare ricambia con un certo entusiasmo - ma addirittura riprende gli stereotipi cari al centrodestra e li trasforma in uno scontro ideologico-generazionale con i "vecchi" dirigenti da rottamare. La superiorità intellettuale degli ex-sessantottini, la presunzione di essere "la meglio gioventù" sono tutti additati da Renzi come peccati originali che, evidentemente, lo autorizzano alla lotta intestina.

Intendiamoci, non che non vi sia un fondo di verità, nelle critiche mosse dal sindaco di Firenze all'establishment del centrosinistra italiano. Ma da qui a pensare che la nuova stagione del PD possa realizzarsi facendo salire a bordo parte dei berluscones delusi, tra una strizzata d'occhio a Marchionne e un attacco ai sindacati, francamente mi pare ce ne corra.

Eppure Renzi, tra gli elettori del PD, ha i suoi estimatori. Mi viene da pensare che siano gli "indignados" che mai riuscirebbero a votare Grillo, ma che comunque covano in cuor loro il sogno di rovesciare il tavolo. O magari semplicemente chi vede nello slogan renziano "meglio arroganti che vigliacchi" la sintesi di un giovanilismo di rivalsa che ha ragione per definizione, nell'eterna lotta tra generazioni vecchie e generazioni nuove (dal risultato fin troppo scontato, in genere, nel nostro paese).

Li capisco, per carità, non dico di no. È mia ferma convinzione che il PD abbia fatto tanti, troppi errori in questo ventennio berlusconiano.

Ma questa propensione a riflettere poco o nulla sui contenuti e nel merito - che mi pare stia attraversando trasversalmente la nostra politica come un insidioso meteorite dalle conseguenze imprevedibili - ha tutta l'aria di non essere poi troppo salutare per un paese che per cinque tornate elettorali ha consegnato se stesso ad un imbonitore di serpenti.

Sarebbe allora il caso di chiedersi come sia possibile che alcuni strenui sostenitori del più grande avversario politico della sinistra degli ultimi 20 anni possano riconoscersi nei valori di cui è portavoce Matteo Renzi.

In definitiva, cosa hanno in comune il sindaco di Firenze e il Caimano?

La mia risposta è che il modello politico incarnato da Renzi rispecchia una sorta di sogno italico per molti trasversale in un popolo romantico e a modo suo rivoluzionario: quello di un líder máximo dall'atteggiamento spiccatamente "popolare", accattivante, frizzante e anche un po' irriverente; oltre a rovesciatore di schemi, guascone, irrimediabilmente ottimista e possibilmente anche donchisciottesco, un "cavaliere errante solo contro tutti", persino un "perdente", dal punto di vista elettorale, almeno sulla carta. Far vincere un candidato così, per una parte del Bel Paese, è vedere realizzato quel sogno italico. E poi, una volta realizzato, tutti tranquilli: "ghe pensa lù".

Questo hanno in comune Renzi e Berlusconi. Entrambi incarnano il modello di un outsider che si dice in grado di invertire la rotta e rivoluzionare il presente.

Quale sia effettivamente la nuova rotta indicata, purtroppo, temo interessi a pochi, come dicevo.

Ecco perché in mancanza di una rotta alternativa meticolosamente tracciata e sapientemente ed efficacemente divulgata da parte di Bersani&Co, ho la sensazione che la candidatura di Renzi diventerà ogni giorno più forte.

Update di domenica 15 settembre.

Berlusconi ha dichiarato:

«Renzi porta avanti le nostre idee, sotto le insegne del Pd. Se vince le primarie si verifica questo miracolo: Il Pd diventa finalmente un partito socialdemocratico».

Il che equivale a dire, per la proprietà transitiva dell'uguaglianza, che Berlusconi è socialdemocratico! Senza parole...

Sostiene Matteo... (parte I)

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Sostiene Matteo che "il suo PD può vincere e correre da solo".

Il suo, ha detto, proprio così. Che tradotto significa il PD formato da quelli che lo vogliono come lo vuole lui. Una "cosa" che è minoranza dell'attuale PD ed è apprezzata da elettori di centrodestra. Nulla di male in questo, naturalmente: solo un dato di fatto. E tuttavia anche per questo sentir parlare Matteo del suo PD continua a suonare strano a molti. A quelli cioè che non riescono ad associare la parola 'PD' all'aggettivo possessivo 'mio' detto da Matteo. E che a sentire quell'accostamento pensano ad un partito che appartiene a qualcuno per rivelazione, o per grazia ricevuta. Oppure, semplicemente, che appartiene a qualcuno di diritto. Un diritto che magari si ritrova tatuato addosso chi nasce rottamatore, anche se molti fanno notare che Matteo lo è solo diventato. Il diritto di chi ha scelto di incarnare l'atavica e adolescenziale battaglia del giovane contro il vecchio. La battaglia di Matteo, per l'appunto. Che poi, sulla scia della drammatica situazione del nostro sciagurato paese, sta passando per essere la battaglia tra chi in qualche modo è "pulito" e chi non lo è. Cosa tutta da dimostrare, per quanto suggestiva.L'equazione - abduttiva, più che deduttiva - è semplice, pare sostenere Matteo: siamo nella merda? Ebbene tutti coloro che hanno fatto parte dello scenario politico fino ad oggi sono ugualmente responsabili dello sfascio. Se gli si fa notare che l'ultimo ventennio è stato maneggiato soprattutto da un uomo, Silvio Berlusconi, Matteo glissa sornione. "L'antiberlusconismo ci ha fatto perdere più volte", risponde. Come se i dati di fatto - i guasti del berlusconismo - potessero essere chiamati col loro nome solo se se ne ottiene un qualche ritorno elettorale.

E in ogni caso, sostiene Matteo, si vince anche - e soprattutto - con i voti dei berlusconiani delusi, se la matematica non è un'opinione. Dunque meno bòtte si danno ai berlusconiani più è probabile che se ne possa conquistare il consenso. E allora? E allora giù bòtte comunque, Matteo mica si tira indietro. Ma non al Caimano, o alla fazione politica avversaria. A quelli del proprio partito. Minacciati tra l'altro - se vince Matteo - di essere spazzati via dal Parlamento.

Perché tutto questo? Only business, in fin dei conti.

Perché la faida fa folklore e il folklore attira consenso.

Perché il mito dell'outsider genera immedesimazione e l'immedesimazione attira consenso.

Perché la favola del reietto attaccato da tutti - il rottamatore inviso ai rottamandi: che assurda e inspiegabile crudeltà, non è vero?! - suscita compassione. E la compassione attira consenso.

I vecchi oligarchi del PD devono andare a casa, sostiene Matteo. E se ne può parlare, per carità. Solo che quegli oligarchi - i Veltroni, le Bindi, i Bersani - hanno dato vita ai governi Prodi. E si dà il caso che Matteo sia stato tra i promotori dei Comitati Prodi. Il che dovrebbe portare a chiedersi che fine abbia fatto quel marchio di fabbrica - del Partito Popolare prima e della Margherita di Rutelli poi - e se si debba ritenere che si sia completamente dissolto sotto i primi bagliori di notorietà. In realtà queste stesse riflessioni dovrebbero portare anche a chiedere ai vari elettori di centrodestra che oggi smaniano per Matteo, come mai alle scorse elezioni hanno votato per Berlusconi e non per Prodi e soprattutto, per essere precisi, quale discontinuità politica vedono - in termini di contenuti programmatici - tra Prodi e Renzi tale da giustificare il loro sostegno postberlusconiano. Ma questa è un'altra storia.

L'obiettivo chiave, sostiene Matteo, quello di cui proprio non si può fare a meno e da cui tutto ha avuto inizo, è 'asfaltare' i dinosauri filo-prodiani. E allora delle due l'una: o pensionando i dinosauri Matteo sta di fatto rinnegando Prodi - e dunque il suo recente passato politico - o mira semplicemente a prendere il posto di Prodi e, per farlo, ha bisogno di una guerra generazionale strumentale all'annientamento della attuale concorrenza. La prima ipotesi non appare per nulla probabile, a pensarci bene, se è vero che Matteo - come lui stesso sostiene in un un'intervista - minaccia l'indipendenza da Vendola perché la sinistra di Nichi - indovinate un po'! - "fece cadere il governo Prodi".

Sostiene Matteo che il suo PD può vincere da solo.

Magari ha ragione.

Ognuno valuterà proposte e programmi.

Quanto al modo di fare e ai metodi usati, è davvero singolare che ci si stupisca ancora se nel PD qualcuno osi dubitare di Matteo.

Per carità, il modello "cacciatore di teste" riscuote senz'altro molto appeal in un paese provato dall'inconsistenza politica degli ultimi anni e quotidianamente alle prese, un giorno sì e l'altro pure, con ingenti e inarrestabili travasi di bile.

Fatto sta che alimentare una feroce guerra intestina - a proposito: che differenza, in tal senso, tra i comizi di piazza e le ultime, quasi concilianti comparsate televisive! - non appare proprio il migliore dei modi per costruire una significativa ed unitaria rivoluzione a sinistra. Che infatti non sembra affatto il vero obiettivo del sindaco di Firenze. A quanto sembra interessato semmai a coprire più possibile lo spazio del centro. Ancora una volta scoperto. E così profondamente e irrimediabilmente 'italiano'.

Sostiene infatti Matteo, guarda caso, che non ha intenzione di fare il Segretario del partito, in futuro.

Ma guarda.

Niente di più ammaliante e seducente che dichiarare di non voler combattere una battaglia in cui si sa già di aver perso prima ancora di cominciare.

Camera e Senato: cosa è accaduto oggi.

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Sebbene in giro per la rete si leggano commenti contrastanti, a me pare piuttosto ovvio che la giornata di oggi, che ha portato all'elezione di Laura Boldrini (Sel) come Presidente della Camera e Pietro Grasso (PD) come Presidente del Senato, difficilmente sarebbe stata possibile senza il clamoroso successo del MoVimento 5 Stelle alle recenti elezioni.

Questo va detto forte e chiaro, perché il rischio di perpetuare le sterili contrapposizioni "noi-loro" - esercizio in cui il nostro paese eccelle da sempre - mi sembra sia molto alto e sui social media si continuano a leggere opinioni scomposte che inneggiano ai grillini beoti per definizione o ai piddini marci per antonomasia.

Lo splendido discorso di Laura Boldrini e la candidatura forte di Pietro Grasso - che pare abbia indotto almeno una decina di senatori 5 stelle a votarlo - dimostrano che il Partito Democratico - la sinistra italiana - è in grado, se vuole, di mettere in campo persone e personalità di spessore ed anche di richiamo: la tanto negata convergenza tra Pd e 5 Stelle non è una chimera. Ed è qualcosa con cui Casaleggio e Grillo dovranno fare i conti nei prossimi giorni, se non vogliono rischiare di lanciare messaggi contraddittori al proprio elettorato.

L'altro dato di fatto è che gli eletti del MoVimento 5 Stelle, alla prima vera prova dei fatti, hanno mostrato una faccia fino a qualche ora fa non prevista da molti: quella di un gruppo di senatori "liberi", che si riuniscono, discutono animatamente e decidono - in contrasto con le dichiarazioni del loro capogruppo Crimi - per un voto all'insegna della libertà di coscienza. Anche questo è un dato da considerare, per il prosieguo accidentato di questa legislatura.

Altro elemento da sottolineare: riguardo la proposta Boldrini-Grasso, pare che una parte del merito vada attribuito a Pippo Civati, che insieme ad altri si è reso promotore instancabile nelle ultime 24 ore di un cambio di strategia nelle file del PD (qui il suo racconto della genesi delle candidature). Cambio di strategia accettato dai vertici e dunque da Bersani. Anche questo è un altro segnale rilevante, in chiave di possibili elezioni anticipate. Il filo rosso che lega figure come Boldrini e Civati, mostra chiaramente come quello di Matteo Renzi non sia l'unico scenario possibile per il "nuovo PD", come molti si sono invece affrettati a sostenere negli ultimi giorni.

Una considerazione a parte merita l'appassionato discorso di Laura Boldrini: un vero e proprio toccasana per chi da anni avverte la distanza fra destra e sinistra affievolirsi sempre di più persino nelle parole. E i mal di pancia di Lega e Pdl ne sono la dimostrazione provata.

Riporto qualche passaggio chiave:

Quest’Aula dovrà ascoltare la sofferenza sociale. Di una generazione che ha smarrito se stessa, prigioniera della precarietà, costretta spesso a portare i propri talenti lontano dall’Italia.

Dovremo farci carico dell’umiliazione delle donne che subiscono violenza travestita da amore. Ed è un impegno che fin dal primo giorno affidiamo alla responsabilità della politica e del Parlamento.

Dovremo stare accanto a chi è caduto senza trovare la forza o l’aiuto per rialzarsi, ai tanti detenuti che oggi vivono in una condizione disumana e degradante come ha autorevolmente denunziato la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo.

Dovremo dare strumenti a chi ha perso il lavoro o non lo ha mai trovato, a chi rischia di smarrire perfino l’ultimo sollievo della cassa integrazione, ai cosiddetti esodati, che nessuno di noi ha dimenticato.

Ai tanti imprenditori che costituiscono una risorsa essenziale per l’economia italiana e che oggi sono schiacciati dal peso della crisi, alle vittime del terremoto e a chi subisce ogni giorno gli effetti della scarsa cura del nostro territorio.

Dovremo impegnarci per restituire fiducia a quei pensionati che hanno lavorato tutta la vita e che oggi non riescono ad andare avanti.

Dovremo imparare a capire il mondo con lo sguardo aperto di chi arriva da lontano, con l’intensità e lo stupore di un bambino, con la ricchezza interiore inesplorata di un disabile.

In Parlamento sono stati scritti questi diritti, ma sono stati costruiti fuori da qui, liberando l’Italia e gli italiani dal fascismo.

Scrivevo oggi su Twitter che la politica è fatta di due cose, soprattutto: valori ed azioni. Quando i valori riescono ad essere tradotti in parole che risuonano dentro e mostrano una direzione, le parole diventano a buon diritto degli "antecedenti" della buona politica. Lasciano ben sperare, in parole povere. E chi oggi ha parlato di retorica vuota, temo abbia l'animo irrimediabilmente indurito.

Io penso che se la sinistra può essere ancora questo, sa essere ancora questo, forse, dico forse, la strada non è poi così in salita come si temeva.

E di questa accelerazione improvvisa, lo ripeto ancora una volta, il primo motore è il MoVimento 5 Stelle.

Speriamo lo si capisca. Noi tutti, intendo. Nessuno escluso.

Perché le forze sane del paese oggi vanno unite. Non disgregate.

Solo così ne usciamo.

Noi tutti, intendo. Nessuno escluso.

Né col PdL, né al voto: l'eutanasia che serve al PD

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letta_bersani_bindi_dirigenza_Pd

E niente, siamo sempre lì, saggio più saggio meno. Almeno apparentemente.

C'eravamo lasciati così, qualche giorno fa: il PD schifava il PdL corteggiando il M5S; il PdL schifava il M5S corteggiando il PD; i pentastellati (o dovrei dire i diarchi C&G?) schifavano tutti corteggiando se stessi, modello 'Movimento Narciso'.

Saggio più saggio meno, dicevo (vedremo a cosa porteranno di buono i Violante e i Quagliariello) sembra d'essere più o meno lì, ma qualcosina forse si muove.Intanto diciamo che si sono raffreddati gli odi e che, apparentemente, i corteggiamenti avvengono più in sordina: ad esempio è dato per certo un prossimo incontro Bersani-Berlusconi. Berlusconi, dal canto suo, parrebbe voler proporre come Capo dello Stato quello che molti definiscono il suo uomo più fidato, cioè Massimo D'Alema, compiendo - qualora fosse confermato - una vera e propria "mossa del cavallo". Di Troia.

Quanto a Grillo, Beppe è stato costretto a scrivere un post per ricordare ai suoi che gli accordi con gli altri non erano previsti nel 'patto elettorale'. Molti l'hanno visto come un segno di debolezza in un momento delicato per la vita dei parlamentari pentastellati. All'interno del MoVimento pare si stia sviluppando infatti una cosiddetta "fronda" di deputati e senatori che starebbe valutando un percorso comune col PD in nome di un "patto per la legalità". In effetti non pare potersi leggere altrimenti l'intervista del deputato siciliano Tommaso Currò, che ha dichiarato testualmente "non credo che siamo pronti per governare da soli, bisogna avere la forza di riconoscerlo"; e ancora "noi parlamentari non siamo automi. E nemmeno bambini. Nessuno ci può svuotare della nostra personalità politica. Diversamente diventiamo schiavi di un manovratore"; e da ultimo "col Pd la sensibilità è comune su molti temi. Penso agli immigrati, all’ambiente, ai diritti civili. Purtroppo in questo Paese la destra non ha un respiro europeo. E non dico altro".

Se è così, sebbene tutto appaia immobile, più di qualcosa bolle in pentola.

Dev'essere anche per questo che Matteo Renzi è tornato sul camper, prima ancora che Bersani scendesse dal treno che ha imboccato un binario che a tutti sembra più che morto.

Dopo l'esternazione di ieri, seguìta alla comparsata da Maria De Filippi (che non lasciava adito a dubbi sulla ridiscesa in campo), il Sindaco di Firenze si rilancia alla grande con l'intervista rilasciata al Corriere.

Contenuti? (1) l'Italia è ferma e attende di ripartire; (2) la politica perde tempo; (3) Bersani ha sbagliato perché ha rincorso Grillo; (4) riunione immediata dei gruppi parlamentari e elaborazione di una proposta forte (5) o si fa un patto col PdL o subito al voto.

Ogni volta che apre bocca, Renzi lo fa con cognizione di causa e i momenti sono sempre azzecatissimi. Fatto sta che analizzando i punti chiave del suo intervento qualcosa non torna. (1) La prima dichiarazione è una tautologia e la lasciamo com'è: chi potrebbe dire, oggi, che l'Italia non ha bisogno di risalire la china? Nessuno e quindi nulla da segnalare. (2) "La politica perde tempo": è la tesi del centrodestra. Pazienza, si dirà, ma è doveroso segnalarlo. Dire che la politica perde tempo quando è in atto una situazione di stallo è di sicuro effetto agli occhi di chi (la stragrande maggioranza degli italiani) vorrebbe un governo quanto prima, ma è come rimproverare chi è in un labirinto, e non trova l'uscita, di impiegare male il proprio tempo. Concetto fuorviante e quantomeno ingeneroso. (3) Bersani ha sbagliato perché ha rincorso Grillo. Non sono d'accordo: Bersani ha sbagliato perché ha fatto una pessima campagna elettorale, cavalcando i giaguari anziché le tigri del cambiamento. E ha sbagliato a non lasciare subito e con generosità - all'indomani del voto - la guida di un partito che ha realizzato troppo tardi l'imprescindibilità di alcune tematiche (finanziamento pubblico ai partiti e costi/privilegi della politica su tutti). Di qui quella che Renzi chiama "la rincorsa", ma attenzione: Matteo dice che è sbagliato rincorrere il M5S ma afferma «facciamo noi i tagli alla politica, aboliamo il finanziamento pubblico ai partiti e poi vediamo chi insegue». Dunque intendiamoci, una buona volta, sul significato di "rincorrere": anche voler realizzare la parte anticasta del programma di Grillo potrebbe essere considerato rincorrerlo, no? (4) La proposta di Renzi di riunire i gruppi parlamentari ha un senso, eccome, ed è la vera novità tra tutte le proposte. Si comincerebbe finalmente a giocare di squadra in un partito che troppo spesso pare aver smarrito il concetto di base, addirittura all'interno del partito stesso (che per la prima volta, tra l'altro, conta una rappresentanza piuttosto nutrita di giovani parlamentari).

E veniamo al punto 5: o patto col PdL o voto. Tra i commentatori, anche sui social media, sta cominciando a serpeggiare l'idea che queste siano oramai le uniche due opzioni possibili.

Io penso che non sia così. Andare a nuove elezioni deve considerarsi l'ultima spiaggia. E con il PdL dubito sia possibile alcun patto, alcuna intesa, perché quel partito appartiene ad un solo uomo e si muove come un sol uomo: è sempre stato così e sempre lo sarà. Fintanto che ci sarà Silvio Berlusconi, il PdL sarà Silvio Berlusconi: i suoi processi, le sue televisioni, le sue aziende. Il PdL, cioè Silvio Berlusconi, al momento ha un solo scopo: trovare un Presidente della Repubblica che sia disposto a firmare la grazia per Silvio Berlusconi in caso di condanna definitiva. Nient'altro. Con un partito così sarebbe semplicemente immorale - oltre che suicida - iniziare qualsiasi trattativa.

E allora? E allora concordo con l'Onorevole Currò dei 5 Stelle, quando lascia intendere molto chiaramente che PD e PdL non sono la stessa cosa. E sono convinto che lo pensano anche molti elettori e attivisti dei 5 stelle.

Ecco pertanto cosa propongo: passo indietro, asap, di Bersani e di tutta la dirigenza del PD, responsabile dello sfascio del partito e del crollo alle ultime elezioni. Un saluto affettuoso ai Letta, alle Bindi, ai Marini - alla gerontocrazia del PD, insomma - e avanti con un bel comitato di giovani tipo Pippo Civati, Laura Puppato (anche Renzi, naturalmente, sempre che lo voglia), etc. etc.. Gente che sa dove sta di casa la sinistra moderna e ha idee fresche da mettere in campo. "Metodo Boldrini" applicato alla dirigenza, insomma.

Ce n'è molta, in fondo, di gente per bene nel Pd (così come in Sel). È o non è il loro momento ora? Se non ora, quando?

Faccia questo, la dirigenza del Pd, se davvero ci tiene al paese e a sbloccare lo stallo: si dimetta, aprendo il campo a proposte di riforma forti che ridimensionino la fisionomia della politica: in termini di età, di privilegi, di costi, di struttura... Rovesci dapprima il suo tavolo, per rovesciare di conseguenza il tavolo del Parlamento.

E personalmente un caffè sul fatto che magicamente si sbloccherebbe il niet dei 5 Stelle io me lo gioco.

Voi?